Su una storia come quella con Nicola, non è
tanto facile far cadere il silenzio e dopo l’apparente luminoso esordio della
nuova relazione con Paolo, Cecilia si ritrova a pagare duramente la scorciatoia
imboccata per egoismo e disperazione. Questo l’argomento de ‘L’Angelo e La
Morte’, in cui la protagonista, col suo caratteristico stile di vita in cui realtà e
fantasia sembrano spesso confondersi, fa la spiacevole conoscenza con un lato
inatteso della propria personalità. Cecilia sperimenta la prigionia
della propria individualità, che cattura ognuno di noi nel proprio piccolo
grande universo di amori e dolori e che finisce per trascinarla in una spirale
d’odio, invidia e desolazione. Solamente riuscendo a riconoscere l’insospettato
lato oscuro della propria personalità, sarà in grado di risalire il baratro in
cui si è cacciata, attraverso un percorso di riscatto morale a metà tra reale e
irreale.
L’aria era ancora
umida dal temporale notturno e la foresta sembrava respirare nel vapore.
Avvolgeva nel silenzio apparente piante, fiori, animali ed, evanescenti, nella
nebbiolina biancastra, tronchi robusti disposti uno accanto all’altro si
ergevano imponenti con le loro chiome tondeggianti. Lucide di pioggia, foglie
bilobate come ali verdi di farfalla vibravano ad ogni leggero tocco del vento.
Cecilia
seguì con lo sguardo quel suo incipit dai toni volutamente aulici, in piedi
dietro all’amica che sedeva davanti al computer nella sua camera. Impossibile
indovinarne gli stati d’animo, potendone scrutare solo spalle e coda di
cavallo. L’unica era rassegnarsi ed attendere le ultime righe, poi Laura
avrebbe fatto ruotare di centottanta gradi la poltroncina in cui sedeva e
qualcosa sarebbe accaduto.
“Grazie alla Pioggia”
“La Pioggia è madre di
tutte le gioie e tu sei madre della nostra gioia, mia adorata”
“La Pioggia genera
vita e ci ha dato nostro figlio”
“Non è che un tenero
gambo, ora”
“Ah, se penso ch’era
un piccolo frutto”
“E solo due inverni
fa”
“Nostro figlio, il
nostro più grande tesoro”
“Si può immaginare
amore più grande?”
“Guarda come dorme lo
disturberanno gli uccelli coi loro battibecchi”
“Sperano che il sole
giunga presto, cara. E tu?”
“Le nuvole della notte
sono scomparse, non pioverà più per oggi ed il Sole presto ci accarezzerà
entrambi. E’ bello il Sole, grazie alla Pioggia ma grazie anche al Sole, a lui
che compie il miracolo nelle nostre foglie, a lui che ci nutre ogni giorno...ma
stamane no, amore mio, vorrei che indugiasse ancora un poco”
“Ogni cosa è umida”
“E l’umidità sale al
cielo...”
“Come un nuovo
desiderio”
“Ricordi quella
notte?”
“Come potrei non
ricordarla? Ora come allora c’è fango tra le nostre radici”
“E l’acqua forma
rivoli sulla terra”
“Ricamano il suolo tra
muschi zuppi intrisi di profumo”
“Non parlarmi così, il
ricordo di quella notte eccita in me un nuovo sogno”
“La pioggia aveva
battuto le nostre chiome”
“Il vento le aveva
scompigliate”
“Ricordi come
scricchiolavi?”
“Mi hai detto che
sembravo un vecchio tronco”
“Ti mettesti a ridere”
“Ridevo perchè tu
sapevi che invece ero giovane”
“Giovane e in cerca di
una sposa”
“E di una madre per i
miei figli”
“Mi stavi davanti da
sempre”
“E
da sempre, eri tu che mi piacevi”
“Credevo
ti piacesse lei, quella che sta dietro. Parlavate spesso. Ti ascoltavo, te l’ho
mai detto?”
“L’avevo
capito”
“Con
me non parlavi mai”
“Parlavano
il mio silenzio e il tuo timore. Basta ora, il terreno è fangoso, non aspettiamo
che il vento secchi l’aria, che mi rubi quel velo d’acqua per giungere fino a
te”
“Hai
ragione, anch’io lo voglio”
“Adesso”
Cadde
a terra, da un ramo basso, una piccola noce gialla che rotolò nel fango.
“Oh
no...”
La
noce era giunta a lambire un arbusto dai teneri ramoscelli. Come i grandi
alberi che ne sovrastavano l’esile profilo aveva foglie a ventaglio con una
spaccatura arrotondata al centro.
“Non
farlo, ti prego!”
“Non
l’avrei mai fatto, cara”
“Si
sarebbero odiati per sempre così, uno accanto all’altro”
“Condannati
a lottare per vivere”
“A
rubare uno all’altro per non morire”
“Troppo
vicini è male, questa è saggezza antica”
“Ed
è amore per i nostri figli”
“Sarebbe
bastato un po’ più in là, maledetto sassolino che ha impedito alla tua noce di
rotolare avanti. Ci è andata male stavolta”
“Ne
ho un altro di maturo, lasciami riprovare, andrà meglio”
Una
seconda piccola noce cadde a terra alzando qualche piccolo spruzzo in una
minuscola pozza tra le asperità del terreno.
“No!”
esclamarono insieme i due amanti avviliti.
“Lì
non ce la posso fare, il mio seme si perderà, annegherà in quell’acqua fonda”
“Mi
dispiace”
“Si
riprova, allora, ma è l’ultimo, amore mio, e cadrà giusto...lì!”
“Quel
masso, dici? Pazienza, sarà un bel colpo, ma è duro il tuo seme, stai
tranquilla, non si spaccherà”
“E’
un masso fessurato”
“Certa?”
“Certissima”
Il
masso alla base di Femmina era giusto in direzione del ramo. Il piccolo seme
giallo, cadendo con una traiettoria verticale, sarebbe sicuramente finito tra
le pieghe profonde del calcare. Lì dentro non avrebbe mai potuto germinare.
“E’
irraggiungibile per me, cara, non arriverò mai a cingerlo col mio amore che è
immenso ma non sale le montagne, non sa che strisciare piano sul terreno umido.
A fatica le minuscole ciglia del mio piccolissimo dono sapranno sospingersi sul
velo d’acqua che la Pioggia generosa ci ha donato stanotte per dare alla Terra
una nuova vita, ma solo se quel buco maledetto non l’inghiottirà”
“E
allora dobbiamo solo...
“...
sperare”
“A
volte vorrei essere un uccello. Sciocca creatura che mi sei appoggiata addosso, vai via da me, allontana il tuo
cinguettio noioso!”
Un
uccello dalle piume azzurre si era posato in quell’attimo su uno dei tronchi
più massicci di Femmina.
“Ti
disturba il suo nido, cara?”
“No,
mi disturba il suo volo. Vai via da me, sciocca creatura!”
“Non
soffrire per la sua libertà. La sua libertà è nel corpo, noi siamo liberi col
pensiero”
“Liberi,
è vero. Liberi di desiderare. Desiderare di abbandonare questa rigida
corteccia”
“Sciocca
sei tu a dire questo. Siamo fatti così e possediamo il più bel dono della
Natura. Stiamo fermi ancorati al
terreno, è vero, ma attraverso le nostre radici viaggiamo ovunque fino ai
limiti del mondo. Esse incontrano altre radici ed è così che conosciamo i nostri
simili e loro conoscono noi”
“I
limiti del mondo, sei sicuro che oltre le Grandi Pareti non vi sia più nulla?”
“Amore,
pensando a ciò che è lontano sciupi ciò che è vicino. Il terreno non resterà
così umido a lungo, lascia cadere quel seme”
L’uccello
dalle lunghe penne azzurre aveva appena lasciato il suo nido, spiccando un
lungo volo. Entrambi stettero a guardarlo in silenzio.
“Possiede
ciò che noi non abbiamo”
Maschio
fremeva. Femmina ragionava.
“Sciocca
e libera, alle volte anch’io preferirei essere una creatura così, senza
pensieri, ma con ali o zampe, scambiare il mio destino con quello di una
piccola formica che, se pur lentamente, può muoversi ovunque voglia e
arrampicarsi fino all’ultima delle mie foglie”
“Non
sa nemmeno di esistere, povera cosa”
“Non
puoi saperlo, ci hai mai parlato?”
“Ma
che sciocchezze parlare a una formica!”
“Magari
anche a lei potremmo sembrare povere cose”
“Non
scherzare”
“Non
scherzo. Immagina di essere uno di quegli uccelli che vede dall’alto le nostre
chiome e, cinguettando, fa un gran baccano...”
“Il
loro baccano può infastidirci, forse, ma non competere con le nostre silenziose
parole d’amore”
“Tanto
rumore per dirsi nulla”
“Il
nostro silenzio per dirci tutto”
“E’
bello che la parte migliore di noi sia sotto terra. E siano le carezze delle
nostre radici a parlarsi”
“Sotto
la terra nemmeno la formica che lì, tra profonde gallerie, ha la sua casa,
potrà mai essere in grado di spiare i nostri dolci sospiri. Nulla potrà mai
sapere del nostro silenzioso amore e di questo nostro domandare che rende
grande la nostra stirpe”
“E’
giusto: siamo fieri di ciò che siamo, cara. É così che cresceremo i nostri
figli...”
“A
lui che dorme ancora, dolce creatura, quante cose spiegheremo e quando arriverà
il fratellino...”
“Il
fratellino non arriverà se non molli quella noce”
“E
se dovesse finire male anche questo mio ultimo seme?”
“Aspetteremo
che ne maturino altri”
“Aspetteremo
che maturino altre nuvole pregando la Pioggia”
“Aspetteremo
se serve ma ora ti prego...”
La
terza noce gialla finalmente si staccò dal ramo, lasciandolo oscillare
lievemente. Una caduta verticale, affatto turbata da alcuna raffica di vento.
Dritta in direzione delle fessure.
Maschio
e Femmina trasalirono. La noce cadde esattamente nella minuscola porzione di
roccia tra i due profondi tagli al centro del masso. Schizzò in aria,
rimbalzando. Rotolò ai piedi del masso e ancora rotolò avanti sfruttando una
debole pendenza.
Alla
fine il frutto giunse infangato a metà strada tra i due tronchi mentre il
piccolo arbusto dormiva ancora e di nulla si stava accorgendo.
Sufficientemente
distante perchè quello fosse davvero un posto perfetto per veder crescere sano
e forte il suo primo fratellino.
“Ancora alberi” disse Laura,
girandosi finalmente verso l’amica. Deprimente per Cecilia dover cogliere nel
suo sguardo tanta rassegnazione.
“Alberi...alberi...proprio
alberi, credevi si trattasse di pinguini?” sbottò Cecilia delusa, con un moto
di stizza.
“Sicuro e per la precisione il
famoso Pinguino Verde Ali Bilobate” riprese Laura con un sorriso poco
convincente. Cecilia guardò l’amica, restando in silenzio come inebetita. Poi
rise alla battuta dell’amica. Per finta. Era una battuta di merda. Insolito per
quell’amica tanto brillante. “Tutto qua?” sancì finalmente, malcelando la sua
delusione.
Laura non rispose, sembrava
incantata, spaesata in modo strano.
“Non guardarmi con quella
faccia, mi hai chiesto tu di scrivere un altro libro assieme”
Laura sapeva di essersi
cacciata da sola in una bella trappola, ma ormai era in ballo. In ballo, senza
aver alcuna voglia di ballare. Possibile che non riuscisse, come sempre, a dare
il meglio di sè?
“Pentita?”
“Stupita”
“Sta a vedere che adesso ti
metti a parlare in versi” incalzò Cecilia sempre più innervosita.
“Questo e altro da un’amica
scrittrice”
“Amica scrittrice, sto
aspettando”
“Credimi, ho davvero voglia di
ripetere l’esperimento dell’anno scorso, per me è stata un’esperienza
grandiosa, senza di te non avrei mai scoperto il piacere di scrivere e...”
“Taglia”
“Insomma Cecilia! Capirai, ma
dopo tutto quello che è successo quest’estate, parlare ancora di alberi!”
Un breve silenzio cadde tra le
due quattordicenni.
Le ragazze distolsero
simultaneamente lo sguardo verso la finestra, un rumore imprecisato le aveva
catturate entrambe. Nulla che c’entrasse con loro, nulla che avesse un senso,
se non quello di allontanarle da quegli alberi che incombevano minacciosi sulla
loro amicizia. Cecilia si alzò dal letto di Laura, sul quale era andata a
sedersi, lasciando l’amica davanti alla schermata del computer. Uscì dalla sua
stanza senza dire una parola. Magari era andata in bagno, ma a Laura passò per
la mente che avesse preso la porta e l’avesse mollata lì senza una parola.
Cecilia rientrò dopo poco:
“Laura, tu mi nascondi qualcosa”
“Ma che pizza, Cecilia, con te
si parla di alberi o di bugie!” concluse l’amica con una smorfia divertita sul
volto, nel tentativo di ritrovarsi leggera e intelligente come sapeva di
piacere a Cecilia. Un bel gioco di prestigio: non si trattava che di
trasformare sapientemente il proprio sguardo, cercando da qualche parte una
serenità che al momento non avrebbe saputo dove trovare.
“Oh, insomma, fuori il rospo:
si può sapere perchè non ti va di scrivere di alberi?”
“Per non ripetersi, tutto qua”
“Ma dimmi, ti pare davvero lo
stesso soggetto di Eden Project? Lì
tutto si svolgeva nella foresta amazzonica, si trattava di deforestazione ma la
storia apparteneva ad altri personaggi, questa storia sarà tutta un’altra cosa,
abbi fede. La nostra storia tratterà di creature vegetali intelligenti e
consapevoli, è un soggetto originale e poi lo sai che gli alberi mi piacciono”
Anche Nicola ti piaceva, ti
piaceva anche perchè assieme stavate costruendo una vostra visione del mondo,
perchè cercavate insieme un modo di reagire alla cecità dell’Uomo, coppia di
solitari guerrieri coraggiosi, talvolta un po’ patetici. Laura sentì ancora una
volta stringersi il petto in una morsa. Un anno così non può dimenticarsi tanto
in fretta. La sua mente andò all’ultimo romanzo, Eden Project, dove Cecilia aveva vestito Nicola da ragazzo
sudamericano alle prese con un nonno padrone che ottusamente tagliava grandi
esemplari protetti nella foresta amazzonica brasiliana sotto gli occhi
inorriditi del nipote. Non molto distante dal vero, perchè il tutto si svolgeva
davvero in Brasile e Nicola e nonno Squartaforeste,
come avevano iniziato a chiamarlo, c’erano davvero. Ma solo d’estate, in quelle
che sarebbero dovute essere le sue vacanze, poi tutto tornava come prima, in
Italia, con un gran sospiro di liberazione. Ne era uscita una storia
bellissima. E tristissima. Non quella del libro, ma la sua, quella vera, con
Nicola dall’altra parte del mondo, costretto a trasferirsi a sorpresa con la
famiglia appena un mese prima. Perchè allora, ancora alberi? Perchè non parlare
della Luna o di Marte, di qualcosa insomma lontano anni luce da quelle grandi
foreste, che l’avrebbero riportata con la mente ai suoi tristi ricordi?
“Insomma, se ti piace l’idea
la portiamo avanti assieme, se non ti piace...pazienza”
“Sarebbe?”
“La porto avanti da sola”
Di male in peggio.
“Scusa un attimo, resettiamo”
riprese Laura, armandosi di stoica pazienza “Sono io che ti ho chiesto di
lavorare assieme ad un nuovo romanzo. Dovresti ricordarti che all’inizio hai
nicchiato, mi hai detto che eri molto occupata: la quarta ginnasio, i libri da
comprare, volevi impegnarti, studiare, il classico non è una passeggiata,
eccetera eccetera...”
“Nell’eccetera c’è anche
Paolo?”
“Quello lo sai tu meglio di me
se c’è o non c’è, non è che vi vedete molto”
“Sai che non è colpa di
nessuno dei due”
“Insomma, io speravo davvero
che ci fosse un po’ di posto anche per me, per fare ancora qualcosa di
fantastico assieme, com’è stato con le nostre sirene...cavolo Cecilia, ma non
ci pensi mai al nostro Pacific Vortex,
neanche un po’ di nostalgia?” Che svarione. Quella era una parola che Laura
proprio non avrebbe mai dovuto pronunciare, possibile che la situazione in cui
si era cacciata la stesse portando a perdere il suo proverbiale controllo sulle
parole?
“Cara Laura, non angustiarti:
ho capito tutto”
Un tuffo al cuore. Poi subito
si riprese: no, Cecilia, non poteva aver capito quello che era costretta, dal
bene che le voleva, a nasconderle. Anche perchè, se così fosse stato, non
l’avrebbe detto a quel modo. Si stupì di quanto era riuscita a restare
impassibile. Cecilia non sarebbe mai andata a controllarle la maglietta madida
di sudore per quell’attimo d’ansia incontenibile. “Hai capito cosa?” ribattè
serenamente.
“Ho capito che preferisci le
sirene ai miei vegetali consapevoli”
Laura tirò un respiro di
sollievo invisibile ma così profondo da restare alcuni istanti praticamente
immobile.
“Be’, nessuna reazione?”
incalzò Cecilia, trafiggendola con lo sguardo.
Vuoto. La pagina bianca.
Quello che non le era mai accaduto davanti ai professori doveva capitarle
proprio nel dare una risposta alla sua migliore amica. “Certo che le sirene...”
cominciò senza alcuna idea neppur vaga di dove andare a parare.
“Certo che le sirene. Che commento sguarnito, avanti Laura, tutto
qua? Lo so che è stato meraviglioso costruire assieme tutto quel mondo
sottomarino...la sirena con le gambe e poi l’Hawaiano figo uaho...bè,
tutt’altra cosa da banalità quali alberi capaci di pensare, amare, comunicare
nel silenzio delle loro radici. Banalità, luoghi comuni. Certo che le sirene...”
“Hai deciso di tormentarmi?
Stavo facendo un discorso prima, se magari mi lasciassi finire...”
“No, sono io che vorrei
finire. Ti ricordo che parlare di sirene era un pretesto per poter ambientare
la nostra storia in quel vortice di spazzatura in mezzo al Pacifico, grande
come mezza Europa! Ok, ti sei divertita con quei personaggi fantastici che
abbiamo creato assieme ma il fine era parlare di questo povero mondo che stiamo
mandando allo sfascio o te ne sei dimenticata pure tu?”
Laura gradì quella lavata di
capo quanto l’amica non avrebbe mai potuto immaginare. Che Cecilia si sentisse
ancora in prima linea in quelle sue titaniche intenzioni ecologiste era segno
di ottimo stato di equilibrio psichico, che nel suo caso equivaleva all’essere
costantemente fuori di testa. Incredibile che nonostante quella recentissima
batosta di Nicola si sentisse in forma perfetta. Una gran tempra, non c’era che
dire.
“Laura, perchè non hai fiducia
in me? Credi che cazzeggi di vegetali senza un progetto sensato? Se mi starai
ad ascoltare ti spiegherò quale parte dovrai sviluppare. Ti occuperai di umani,
rilassati, e porterai avanti la tua love-story a tuo modo, basta che me la fai
in Cina e che ci sia in ballo il progetto di una ferrovia che dovrebbe passare
proprio per una di quelle valli incontaminate del...ehi, ma mi stai a sentire?
O neanche la Cina ti va bene?”
Laura aveva troppe cose in
mente per ascoltarla davvero. Soprattutto a distoglierla c’era quel pacco
dinamitardo di proporzioni colossali che non aveva nessunissima intenzione di
consegnarle. Le rincresceva ma delle sorti del Pianeta stavolta non sarebbe
riuscita davvero ad occuparsi. Tutto sommato, anche di strazianti love-story ne
aveva fin sopra i capelli. Nicola non sarebbe mai più tornato da Manaus. Era
cosa certa ormai, lui stesso aveva avuto il coraggio di comunicarlo a Cecilia
appena un mese prima, a bruciapelo, per telefono. Subito era comparso Paolo ad
illuminare quel tunnel nero come la pece, una piccola torcia lontana, destinata
forse ad avvicinarsi sempre più indicando una nuova strada a quella sua povera
amica bersagliata dalla sorte. Un amore del genere non può dimenticarsi in
fretta e Cecilia era stata sorprendente. Aveva cambiato il numero di cellulare,
l’indirizzo di posta elettronica, impostato la segreteria telefonica per il
riconoscimento della voce di Nicola nel telefono di casa. Irrintracciabile
assolutamente, chiusi tutti i ponti col Sudamerica. Laura non avrebbe mai
creduto che, dopo l’iniziale brevissimo tracollo, si riprendesse così in
fretta. Nicola, poveretto, se non era riuscito ad imporre la propria
ribellione, non era giusto che continuasse a distruggerle la vita. Che la
lasciasse libera di dimenticare e ricominciare. Di questo Laura era fermamente
convinta, e da vera amica qual era, a costo di fingere, mentire, prenderla in
giro come stava facendo in quel momento, avrebbe fatto di tutto per nasconderle
quello che stava preparandosi alle sue spalle.
“Tutto sommato non è una
cattiva idea...” uscì semplicemente dalla sua bocca.
“Cosa?” domandò Cecilia
stupita da quell’affermazione oramai insperata.
“Sì, la faccenda dei vegetali consapevoli..., magari può
davvero uscire qualcosa di interessante” Condanna firmata. E ci voleva tanto?
Una pentola a pressione,
lasciata troppo a lungo sul fuoco, un attimo prima del fischio liberatorio,
questa la sensazione che attraversò Laura in quel preciso istante. Ma non
poteva scoppiare a piangere. Sarebbe bastato dire la verità per liberare se
stessa e condannare al martirio la sua migliore amica. Avanti allora per quella
strada impossibile, portando l’amica bendata a spasso lungo il ciglio del
baratro.
“E allora, pronta per il
decollo?” propose Cecilia che in quel baratro le parve fosse pronta a
dispiegare le ali.
“Basta che mi spieghi cosa
devo fare” Il tono era del tipo: mi vuoi scuoiata o tagliata a pezzettini?
“Uh, che entusiasmo!
Tranquilla, la cabina è per due ma non preoccuparti: l’aereo va in quota anche
con un solo...”
“Basta, ho detto che mi va,
hai capito?”
Pilota e copilota. Uno guida e
l’altro controlla. Supervisione costante, senza alcun attimo di disattenzione:
avrebbe vegliato su ogni moto dell’animo di Cecilia affinchè il suo fragile
mezzo destinato alla violenza della tormenta non rischiasse di vacillare.
Nessun paracadute a strappare
Cecilia ad un nuovo abisso.
Aspettò che Cecilia se ne
andasse da casa, poi stramazzò sul letto.
Qualche secondo col naso per
aria, poi di nuovo al lavoro. Operazione: pazzi da salvare. Stressantissimo. E
senza un minuto da perdere. Chissà a che punto era Marco, poveretto anche lui,
in che storiaccia si erano cacciati. La mano andò al cellulare sul comodino.
“Marco, sei sveglio? Lo sai
vero che giorno è oggi? Domenica, domenica!”
“Lo so che è domenica, non
faccio che pensarlo, da una settimana aspetto la domenica, sono stufo di
aspettare la domenica”
“Sarebbe bello aspettarla come
tutti, così, tanto per dormire la mattina...”
“Hai voglia di scherzare, io
per nulla”
“Come stai?”
“Come stai o come sta lui?”
“Come stai tu, amore mio. Mi
devo preoccupare anche per te adesso: tra un po’ schizzi ”
“Hai ragione Laura, da un po’
non parliamo d’altro”
“Esattamente tre settimane”
“Non s’è fatto vivo nemmeno
con te, vero?”
“Non si fa più trovare.
Nemmeno su Facebook. Te l’ho detto che faceva sul serio”
“E Cecilia? Sei riuscita
ancora a lasciarla fuori, immagino”
“Ma per chi mi prendi?”
“Meglio così e comunque è
incredibile che quella ragazza abbia cancellato con un colpo di spugna una
parte così importante della sua vita”
“Ti assicuro che se lei non ne
parla, io non mi azzardo nemmeno a girarci attorno: argomento tabù. Tutto
sepolto: Nicola e Sudamerica”
Alberi. Gli alberi però non li
aveva seppelliti, anzi erano più vivi che mai. Vivi e ora addirittura
consapevoli. Alberi come persone, dotati di sentimenti ricchi e profondi.
Avrebbe voluto parlarne a Marco, confidargli quell’ultima pena che aveva
iniziato a tormentarla. Ma le cose erano già fin troppo complicate e Cecilia
era affar suo. I matti da badare se li erano divisi con equità. Marco si doveva
occupare di Nicola e, fino a quel momento, aveva fatto del suo meglio per
reggere quel suo comportamento imprevedibile. Anche Cecilia era stata
imprevedibile, sembrava esserle andata di lusso. Credeva di essere la spalla su
cui la sventurata avrebbe pianto lungamente ed invece la sua spalla continuava
a restare asciutta. Una nuova avventura letteraria che la trascinasse via da
possibili ricadute non era sembrata ad entrambi una cattiva idea. Non cattiva
infatti, pessima. Ed incosciente averle lasciato scegliere il soggetto. Alberi,
ancora alberi da cui essere perseguitata.
L’Albero, quell’albero li perseguitava.
“Ho paura”
“Di cosa, Marco?” finse Laura.
Aspettando la sua risposta, chiuse gli occhi e si passò le mani tra i capelli.
Marco, a casa sua col cellulare all’orecchio, non l’avrebbe mai potuta vedere
mentre vacillava a quel modo.
“Dell’Albero”
“Magari ce lo spiega” rispose
Laura, cercando un tono tranquillizzante.
“Non ce lo spiega più, basta,
ha chiuso con le parole, è finito il tempo delle parole!”
“E che tempo dovrebbe iniziare
secondo te? Il tempo dell’Albero?”
Laura si stupì di quanto lei stessa riuscisse a giocare con quell’orribile
immagine che era comparsa sul computer di Marco due settimane prima. Solo
un’immagine, fortissima e senza il conforto di un solo commento a dirigere da
qualche parte i loro timori. La paura che attanagliava anche lei non doveva
riuscire a sovrastarli a quel modo. Obbligatorio non farsi coinvolgere troppo,
altrimenti nessuno si sarebbe salvato, nemmeno loro. “Forse dovremmo trovare il
modo di aiutarlo” aggiunse propositiva.
“Stando dall’altra parte
dell’Oceano è un po’ difficile, se non si fa più trovare, non è che possiamo
andare a beccarlo a casa sua”
“Certo che te lo sei scelto
con cura il tuo migliore amico”
“La stessa cura con cui ti sei
scelta l’amica, mia cara”
“Forse potremmo avere un
futuro come assistenti sociali. Anzi, da grandi mettiamo su un bell’ospedale
psichiatrico, che ne dici?”
“Laura, vuoi farmi ridere a
tutti i costi e invece dovremmo preoccuparci seriamente”
“Ma più di così! Bollettino:
domenica 9 Settembre, si torna a casa dalle vacanze in Gargano, io, te e
Cecilia o quel che ne resta dopo la telefonata di quella maledetta notte nella
Foresta Umbra. In seguito la poveretta sembra riprendersi, Nicola invece
sclera. Per tutta la settimana ti sobbarchi telefonate, mail, chat quotidiane,
parli più con lui che con me, rispondi sempre a tutte le ore, non gli dici mai
sono stufo...”
“Il fine del bollettino, scusa?”
“Aiutarci a fare chiarezza. Passa un’altra
settimana e un’altra ancora. Dal Sudamerica telefonate, mail, tutti i giorni,
tutte le ore. Siamo a domenica 23 Settembre: arriva l’Albero e silenzio. Stop delle comunicazioni”
“E se si fosse offeso per
qualche stupidaggine che ho detto, sai com’è, quando si è in crisi...”
“Macchè macchè, ascoltami
invece, quello che ti voglio dimostrare è che, secondo me, non c’entra affatto
il modo con cui l’abbiamo trattato, la sostanza è che, non vedendoci mettere al
corrente Cecilia del suo dramma, ha dato inizio alla nostra tortura. E’ partito
nella sua testa un piano preciso. Era Domenica 30 settembre...”
“...poi Domenica 7 ottobre si
è aggiunto il resto del suo bel capolavoro”
“E oggi è Domenica 14 Ottobre,
ci sei?”
“Dici che non è finita, che
deve arrivare qualcos’altro?”
“Certo che arriverà, Marco, si
capisce che è solo l’inizio”
“Ma l’inizio di cosa?”
“E che ne so! Quello di cui
sono certa è che quel qualcos’altro arriverà e arriverà oggi”
“Basta basta Laura, io non so
se ce la faccio. Credimi, sai quanto gli voglio bene, quanto ho sofferto di
perdere il mio migliore amico dall’oggi al domani. Mi fa una pena infinita,
soffro per lui, sul serio, ma basta però, finisce che cambio anch’io
l’indirizzo della mail”
“Non puoi, lo sai che non
puoi”
“Adesso lo difendi? A me
pareva che ti premesse solo proteggere Cecilia”
“Non è vero, voglio bene a
Nicola, ma possibile che non avesse potuto un pochino prepararla? Mi sembra
impossibile che si sia lasciato sorprendere così come uno che se ne sta beato a
prendere il sole e gli arriva di colpo uno tsunami che gli lascia nient’altro
che la propria vita”
“Ne parli come se fosse lui la
causa ma prova a pensare: uno parte per una vacanza dai nonni in Brasile e si
ritrova sequestrato a tradimento, senza averlo mai sospettato. Suo nonno è un
disgraziato, ma più ancora i suoi genitori”
“Lo sapevano prima di partire
come sarebbe finita, potrei giurarci. Io l’avevo capito che facevano la fame”
“Forse stai esagerando”
“Ma dai, povero Nicola, ti
ricordi? Mai una pizza, un gelato, un cinema, non ho fame, non mi piace, ho sonno, ho l’orticaria... ma alla
fine, se pagavamo noi, vedevi come correva! E la sua casa? Ma ti ricordi la sua
casa? Gran gigantografie di quei mezzi quadri-fotografie che faceva sua mamma.
Belli, mica dico di no, un’artista la mammina, ma hai visto sotto i muri? Uno
se ha un po’ di soldi se la ridipinge una casa coi muri neri di muffa o secondo
te gli piaceva così?”
“E che ne so! Mi pareva
facesse parte tutto di uno stile un po’ bohemienne...”
“Bohemienne, l’hai detto
giusto, soprattutto sua madre mi pareva Mimì versione brasiliana quando la
vedevo girare coi guanti per casa, morta di freddo”
“Ma per forza, quella gente è
abituata al caldo”
“Veramente quel giorno i
guanti li ho tirati fuori anch’io a casa loro. Possibile che non riuscissero a
riscaldare decentemente quel buco d’appartamento? E comprare una borsa per i
libri a quel povero figlio che a scuola girava sempre con gli shopper del
supermercato?”
“Laura, che criticona! Tra un
po’ mi dici anche che non aveva i jeans di...”
“Non essere scemo, delle
marche me ne frego, lo sai, sto parlando di miseria, amore, quella che io e te
non abbiamo mai conosciuto e che Nicola portava da vero signore, senza mai
piangersi addosso”
“Insomma, credi che avremmo
dovuto aspettarcelo? Credi che Nicola avrebbe dovuto aspettarselo?”
“Non lo so ma io credo che
potesse anche immaginare che prima o poi avrebbe lasciato l’Italia per tornare
in Brasile”
“Non parlava mai del Brasile,
all’inizio io non sapevo nemmeno spiegarmi quel cognome: Nelson Ferreira.
Sembrava avesse paura di parlare delle sue origini, forse sotto sotto le viveva
come una spada di Damocle, sospesa sul proprio destino.
“E che spada! Gli ha spezzato
in due il cuore, la vita”
“Di suo nonno, poi, parlava
sempre male e solamente a proposito di quello schifo di pascoli per i bovini
che tra un po’ si sarebbero fregati tutta la foresta”
“Nonno Squartaforeste, come l’aveva battezzato Cecilia. Si capiva che
doveva essere uno pieno di soldi”
“Possibile che Nicola non
avesse fatto due più due?”
“Ci vuole una mente lucida
anche per fare due più due. Se guardi con gli occhi dell’amore tutti i calcoli
vanno a farsi benedire. No, non credo che sospettasse di non tornare più. Non
sarebbe mai riuscito a fingere così bene con noi che gli stavamo accanto tutti
i giorni, con Cecilia poi, impossibile! Cecilia ha i raggi X per queste cose”
A Laura venne in mente il loro
incontro di poco prima. Con tutti quei raggi X, davvero era riuscita a non far
trapelare nulla della sua angoscia a quell’amica a cui non sfuggiva niente?
Eppure l’Albero era sempre davanti ai
suoi occhi. Tutta l’insistenza quotidiana di quel ragazzo strappato a forza
dalla vita che amava, quel fiume di parole chattando con Marco a tutte le ore,
la pressione incessante della sua disperazione, tutto sostituito da un’unica
misteriosa immagine. E da un solo numero, scelto con cura tra tutti i numeri
possibili. Dodici, l’esoterico per eccellenza, il numero dei presagi, principe
delle premonizioni. Quel numero, come una minaccia incombente, tormentava lei,
tormentava Marco. Ma cos’era? Cosa significava? La cosa più temibile era quel
sapore di conto alla rovescia, sapeva da sfida, da ricatto. Davvero era
riuscita a nascondere tutto questo a quell’amica provvista oltremisura di sensi
acuti, disarmante nella sua profondità e violenta come una trivella? Se c’era
riuscita, stavolta, la maga era lei.
“Di cosa le vuole riempire
quelle dodici caselle attorno all’Albero,
secondo te?”
Marco rimase in silenzio, i
suoi chiarissimi occhi color del cielo fissavano ancora una volta il monitor
aperto sulla posta elettronica. La mail era arrivata esattamente due settimane
prima: spazio per la lettera vuoto, solo un allegato.
Che strana fotografia,
sembrava uno di quei manifesti ecologisti contro la deforestazione. Una gran
mano a pugno chiuso afferra per la chioma un albero che appare sollevato dal
suolo con le radici scoperte. Un uomo nudo posizionato lungo il tronco. Bella
foto. D’impatto. Forse Nicola aveva cominciato a riafferrare la sua vita, cominciando
dal suo interesse ambientale, quello che tanto aveva condiviso con Cecilia. Era
un modo di allontanarsi da lei a poco a poco, tenendosi stretto ciò che di
buono le aveva lasciato quel rapporto forzatamente interrotto. Bene, si era
detto. Altro capitolo. Se quell’immagine l’aveva creata lui, con le ottime
capacità fotografiche che in molti casi aveva già dimostrato, la bufera poteva
dirsi finita. Si era scoperto figlio d’arte, aveva talento, buon per lui
insomma.
Il tutto nei primi cinque
secondi. I secondi cinque erano andati molto peggio. Aveva aperto l’immagine,
l’aveva portata alla massima risoluzione e si era accorto di un particolare che
all’inizio gli era sfuggito. L’uomo sul tronco non era un uomo ma un ragazzo.
Quel ragazzo Nicola stesso.
Non un manifesto ecologista
quindi perchè la vittima non era l’albero. La vittima era lui stesso. Lui
stesso era quell’albero strappato brutalmente alla sua terra.
Laura era rimasta con tanto
d’occhi quando Marco gliel’aveva mostrato. Aveva detto che, se l’avesse visto
Cecilia, sarebbe impazzita per un’opera tanto bella e significativa. D’amore e
di disperazione. Quel corpo nudo e indifeso del ragazzo che tanto aveva amato e
quell’albero con le radici come mani tese alla ricerca di un disperato aiuto, l’avrebbero
riportata immediatamente al punto di partenza. No! Assolutamente questo Cecilia non dovrà mai vederlo, aveva
sentenziato. E così era stato. Nicola si sarebbe certo aspettato che a quel
messaggio seguisse un qualsiasi segnale da parte di Cecilia. Non vedendo
arrivare nulla era partita la seconda parte del piano: la domenica seguente
alla bella immagine s’era aggiunta infatti una cornice. Dodici caselle
distribuite quattro per lato tranne che per il lato superiore. Le aveva
dinanzi, bianche, vuote, pronte per essere riempite di qualcosa. In alto
troneggiava a caratteri cubitali una semplice parola. Minaccosa ed inquietante,
alta come le caselle e lunga quanto l’intero lato: DODICI.
“Marco, ti ho chiesto di cosa
vuole riempire le caselle attorno...ma ci sei? Ma mi stai ascoltando?”
“Sì...no...non lo so”
“Cos’hai Marco? Cosa c’è?”
“Laura, è arrivata
adesso...la...la mail...la terza mail”
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