A SCUOLA DI FUTURO incipit



LA BUONA FATA

La classe di Cecilia non era peggio di tante altre, ma lei riusciva a vederla solo come un perfetto laboratorio di dispetti, inganni e prese in giro. Il suo ruolo lì dentro? La cavia.
Non aveva “migliori amiche” e tutto sommato nemmeno amiche, nessuno aveva scelto lei come una persona speciale con la quale condividere i propri giochi, dalla quale farsi difendere se necessario.
Per questo, talvolta, invece di giocare, si isolava nelle sue riflessioni più o meno fantastiche, compagnia senza dubbio più interessante di quella che potevano offrirle i suoi compagni. Almeno con se stessa poteva evitare i falsi sorrisetti per i quali proprio non dimostrava alcun talento.
Un talento innato invece ce l’aveva per dire le cose che pensava, un talento che, a quanto pareva, non piaceva proprio a nessuno, e men che meno alla maestra. Ogni qualvolta Cecilia apriva bocca si leggeva chiara nel volto della sua insegnante una certa ansia. E se stava solo chiedendo di andare in bagno ecco lo sguardo della maestra che andava illuminandosi di sollievo.
Quel giorno, nel buio dell’aulavideo, qualcosa di realmente esplosivo stava preparandosi dentro di lei. Erano quelle immagini proiettate che stavano lavorando nella sua mente, nel suo cuore, procurandole un’agitazione fortissima che faticava a contenere.
Non a tutti i compagni l’intervento dell’esperta di educazione ambientale doveva fare quest’effetto. A nessuno probabilmente, a giudicare dalla quantità di videogiochi sotto i banchi. Anche il commercio silenzioso di figurine andava abbastanza forte e mentre Cecilia seguiva col fiato sospeso le immagini di degrado ambientale come il più emozionante dei thrilling, qualcun’altro a bassissima voce continuava imperterrito le proprie riflessioni sulle migliori marche di scarpe da ginnastica.
Solo le immagini delle montagne di spazzatura abbandonate ai lati della strada avevano catturato l’attenzione della classe e principalmente a causa di quei passanti che camminando frettolosamente si chiudevano il naso per la puzza. Era sembrato ai più evidentemente molto comico. A Cecilia proprio per nulla, tanto che sentiva avvicinarsi con ansia la fine della lezione: dopo ciò che aveva sentito sul mondo e la sua incessante distruzione ad opera dell’Uomo non avrebbe sopportato che ognuno lì dentro, anche la maestra probabilmente, avrebbe fatto come se ciò che era stato detto fosse solo la presentazione di un terribile film di fantascienza e che sarebbe bastato spegnere la TV per non sentirne più parlare. Ed anche lei che amava inventarsi mondi e storie fantastiche, doveva smettere di rifugiarsi nel suo bell’universo di eroi ed eroine in perenne lotta col Male ed affrontare la realtà, guardare in faccia quei problemi veri. Di quel bel mondo fantastico avrebbe dovuto conservare solo l’incrollabile determinazione dei suoi eroi, non aveva bisogno di inventarsi di dover salvare il mondo quando il mondo andava salvato per davvero. 
“Bene, questa era proprio l’ultima immagine” concluse l’esperta. Nel buio di quell’aula, la classe, che era rimasta per diverso tempo almeno apparentemente buona e zitta, a queste parole, iniziò a borbottare e con crescente intensità.
La maestra si affrettò ad accendere la luce perché conosceva bene i suoi polli e sapeva che, restando troppo a lungo nell’oscurità, non avrebbero tardato ad approfittare della situazione per trasformare il mormorio in vero baccano.
Nonostante la luce accesa, però, il borbottio continuava ad aumentare.
“Non ho detto di far confusione e tantomeno di alzarvi. Io credo che la nostra esperta voglia concludere il suo discorso e magari anche salutarvi” la maestra si guardò attorno e, nel vedere come le sue parole cadevano nel vuoto, continuò lievemente adirata “Vi ricordo che l’intervallo non è ancora suonato!”
Pochi l’ascoltarono, presi com’erano dai loro programmi per l’intervallo, ad accordarsi tra loro sul come arrivare senza farsi troppo notare al pallone sequestrato in alto sull’armadio o a decidere chi fosse stavolta a esser chiuso nel bagno. Dovette così farsi venire una buona idea per evitare una figuraccia con l’esperta che era rimasta ferma ad attendere un silenzio che non arrivava.
“Vi consiglio di prendere qualche appunto piuttosto perché ciò che ha detto  la nostra esperta non dev’essere dimenticato, siamo intesi? Vi ricordo che domani avete verifica di scienze. Fuori carta e penna, fate lavorare il cervello e non le chiacchiere. Sandra, tira le tende per favore, che così ci vedete meglio.” La bambina tirò le tende e un bel sole entrò ad illuminare la stanza.
Era stata proprio una buona idea perché il risultato fu immediato: silenzio e sguardi preoccupati.
“Ma ci metti delle domande anche su tutto quello che ha detto oggi?” domandò impensierito uno degli alunni.
“No, maestra, ti prego, abbiamo già tanto” si affrettò a puntualizzare un altro.
“A parte la verifica che è senz’altro importante” intervenne l’esperta “ e immagino possa risvegliare in voi qualche preoccupazione, mi piacerebe vedervi un po’ preoccupati anche per le sorti del nostro pianeta che, come avete ascoltato, non gode di ottima salute. Vorrei che vi rendeste conto che i problemi ecologici di cui vi ho parlato sono davvero molto seri ed è importante che bambini come voi capiscano bene queste cose perché proprio voi, la vostra generazione cioè, dovrà impegnarsi davvero al massimo per evitare che il peggio accada”
Le parole dell’esperta stavolta erano state ascoltate attentamente proprio da tutti. Il tono era un po’ diverso da quello usato fino a quel momento e forse era stata quell’imprevista venatura di rimprovero a renderlo più carismatico. Maforse era molto più semplicemente l’annunciata verifica di scienze ad aleggiare ora sulle sorti del Pianeta.
“Ma noi cosa possiamo fare?” intervenne Matilde cercando di dimostrare con quell’osservazione il proprio coinvolgimento nella questione. Cecilia si sentì ribollire, anche perché la cara compagna aveva appena messo in tasca il videogioco con il quale aveva trascorso felicemente l’ultima mezz’oretta.
“Siamo bambini, non possiamo decidere niente. Decidono tutto i grandi” aggiunse Silvio il cui interesse in quel momento era concentrato unicamente sul pallone che l’attendeva sopra l’armadio. Cecilia iniziò col conto alla rovescia: si sentiva un missile pronto al decollo che una volta partito non si sarebbe più fermato.
 “Finchè siete piccoli potete fare cose piccole, ma importanti, e intanto comincerete così a costruire un modo diverso di vedere le cose” commentò l’esperta tornando a quel suo tono pacato.
L’esperta non era una donna particolarmente bella, senza un filo di trucco ma vestita in modo originale e forse era più giovane di quello che dimostrava. La gonna leggera sull’azzurro ricordava a Cecilia un costume d’altri tempi. Era la prima volta che si era soffermata a guardarla. Nell’oscurità di pochi minuti prima era stata per lei solo una magica voce capace di condurla in quel viaggio sorprendetemente emozionante che le aveva fatto vedere la realtà a cui era abituata in modo diverso.
“Cose piccole? E cosa ad esempio?” continuò Martino, vagamente interessato.
“Evitare gli sprechi innanzitutto per risparmiare energia e materie prime”
Fu a quel punto che Cecilia si decise a dichiarare aperte le ostilità.
“Anche l’energia elettrica?” La sua voce sbottò dal nulla.
“Sì certo” rispose l’esperta un po’stupita dal tono tutt’altro che neutro con cui le era stata rivolta la domanda.
“Allora, mi domando io” continuò Cecilia caricata “se il problema è proprio così urgente perchè non iniziamo a spegnere la luce quando non serve, visto che l’abbiamo dimenticata accesa. Maestra, è vero o no?” La maestra non rispose. In una frazione di secondo era già con le spalle girate ad armeggiare con i cavi del videoproiettore.
“Ci si vede benissimo anche senza, è inutile sprecare!” sentenziò la ragazzina davanti all’interruttore e spense la luce senza esitazioni.
La rivolta non tardò anche perché se fuori ci fosse o meno il sole e che la luce naturale filtrasse attraverso le tende in modo del tutto accettabile, poco importava alla maggior parte dei suoi compagni che a quel punto avevano in mente un solo obiettivo: ripristinare ordine e gerarchie. Non fosse mai che, sventolando la bandiera ecologica, Cecilia fosse riuscita ad imporre la sua volontà, scardinando tutti i loro consolidati rapporti di branco.
“Non è vero, io non ci vedo tanto, faccio fatica a leggere” replicò Matilde, quella del video gioco.
“Neanche io” si unì prontamente Anna, la sua migliore amica.
“Per colpa sua dobbiamo scrivere al buio” stavolta il commento era di Martino che non l’aveva mai potuta sopportare.
“Non è buio, c’è il sole!” Cecilia riuscì a dirlo con un autentico tono da sberle che non l’aiutò certo a farsi degli alleati. Si sentiva circondata da nemici, nemici pronti a colpirla da ogni direzione.
Si girò allora verso il videoproiettore cercando la solidarietà dell’esperta, lei almeno avrebbe dovuta difenderla. Quella invece stava armeggiando  assieme alla maestra con cavi e spinotti e si stava perdendo proprio tutto della sua solitaria battaglia per i risparmi energetici. Addirittura si accingeva ad abbandonarla lì sola nell’arena, in mezzo ai leoni perchè assieme alla maestra era in procinto di trasportare il videoproiettore fuori dall’aula.
“State buoni” fu solo capace di dire la maestra mentre girava l’angolo. L’esperta alzò la mano libera in segno di saluto e questo a Cecilia piacque ancora meno.  
Immancabilmente venne colpita alle spalle: Matilde aveva riacceso la luce.
Quella luce accesa non fece che offuscarle la mente: la sfida a sprechi e consumi si era arricchita del gusto squisito della sfida personale.
“No, cara” Cecilia rispense la luce.
Stavano lì le due ragazzine, davanti a quell’interruttore che mai si era sentito così importante, a fronteggiarsi con gli occhi.  Premere il grilletto a questo punto sarebbe toccato a Matilde.  Cecilia, guardandola fissa in attesa di quella sua prossima mossa, aveva pronunciato un bel “Provaci” da vero brivido. Risposta immediata e luce accesa.
Un silenzio da mezzogiorno di fuoco aveva conquistato l’intera classe ed ognuno per nessuna ragione al mondo avrebbe voluto rinunciare all’epilogo della curiosa disputa.
“Muoio dalla paura”. Ancora dito sull’interruttore: Cecilia era passata in vantaggio con un nuovo “luce spenta” in aula.
“Ma …cosa fate?” disse la maestra mentre rientrava emergendo dalla sua intensa parentesi tecnologica.
“Cos’è tutto questo accendersi e spegnersi di luci? Siete impazzite voi due, vi pare un bel gioco da fare in quinta? L’ho sempre detto: più crescete e più vi rimbambite. Tu poi… ti rimanderei in prima, ma cosa dico, all’asilo ti manderei!”
All’asilo l’avrebbe mandata la maestra!  Proprio lei che stava lottando per il suo Pianeta, l’unica che dimostrava di aver veramente capito qualcosa da quella lezione. Dov’era l’ispiratrice della sua grande battaglia, perché non era lì a vederla battersi con coraggio per le “cose piccole ma importanti”. Non era il suo “un modo diverso di guardare alle cose”? Tutti allora erano capaci di belle parole e di andarsene salutando di sfuggita! Nemmeno un piccolissimo riconoscimento per chi s’era tanto battuta per la giusta causa?
La classe si stava avviando verso la propria aula, ma Cecilia si rifiutava di mettersi al suo posto nella fila. Voleva starsene in disparte, aveva tante cose a cui pensare.
Incrociò l’esperta che stava dirigendosi verso l’aulavideo, ma finse di non vederla e abbassò lo sguardo. Vide la sua gonna azzurra che si fermava, poi si  avvicinava ed alla fine la vide fermarsi proprio ad un passo da lei.
“Non prendertela così, non ne vale la pena. Capire è già un buon inizio, ma far qualcosa sul serio è un altro paio di maniche. Come hai potuto vedere tu stessa, non è così facile mettere d’accordo tante teste” L’esperta stava parlando proprio con lei.
“Già le teste di chi capisce non vanno d’accordo con quelle di chi non capisce niente” replicò Cecilia senza preoccuparsi di nascondere il suo profondo rammarico.“E per quanto riguarda il fare sul serio, sono solo io che faccio sul serio qui dentro. Io non volevo sprecare energia elettrica, cosa c’era che non andava? Tenerla accesa, che non ce n’era affatto bisogno, voleva dire sprecare. Sprecare, proprio come hai detto tu, ti ricordi che hai parlato di sprecare?” Che l’uscita fosse un tantino polemica, di questo se ne accorse anche Cecilia, ma ormai tutto era perduto, tanto valeva sfogarsi.
“Certo, certo che mi ricordo e sono contenta che almeno tu hai capito, vuol dire che oggi le mie parole sono state realmente utili. Almeno quelle non sono state sprecate”
Se prima era arrabbiata e avrebbe voluto accusarla di averla lasciata maltrattare ingiustamente, ora, tenendosi ben stretta quell’inattesa medaglia al valore, non potè rispondere che nel modo più serio e impegnato che le passò per la mente: “Tu non hai sprecato le tue parole perché io da oggi in poi non sprecherò più niente e anche a mensa, te lo giuro, mangerò tutto”
Nel dire questo si sentì importante, come doveva sentirsi un giovane Cavaliere nel momento del solenne giuramento, quando la spada del Re in persona andava a toccare le sue spalle.
“E i piselli che li lasci sempre?” intervenne Silvio, il caro compagno alla quale Cecilia fu per sempre grata per aver interrotto un momento per lei così bello ed emozionante. Aveva sentito la conversazione e gli era parso sensato pretendere qualche opportuna precisazione su quel giuramento così compromettente. Cecilia si girò come una furia.
“Me li mangio tutti, scommettiamo?”
“Vuoi anche i miei?” intervenne Martino. Cecilia si stava infatti meravigliando come non si fosse ancora presentato a difesa dell’amico, in genere bastava qualche frazione di secondo. In quel gioco di alleanze lei era sempre stata sola, non era una novità, ma stavolta c’era l’esperta senza nome dietro di lei, a guardarla fiera del suo coraggio e della sua determinazione.
“Quelli te li calo in testa” disse senza esitare, protetta da quello sguardo che immaginava troneggiante su di lei.
“Cecilia, calmati e modera il tono” Alle sue spalle c’era invece la maestra con quegli occhi distanti che non incrociavano mai i suoi.
La sua Fata Madrina se n’era volata via ancora una volta, ma l’eco delle sue belle parole era ancora lì con lei e forse l’avrebbe accompagnata per tutta la vita. Con quell’eco nella testa si sentiva forte, piena di volontà, di decisione. C’era molto che riteneva di poter fare e avrebbe iniziato da subito, una volta rimesso il piede in aula.
Non era ancora suonata la campanella della ricreazione, ma i bambini, ricevuto il benestare della maestra già stavano iniziando a scartare merendine varie, a bere succhi di frutta, tanto che presto il cestino fu carico.
“Guardate qua” lo sguardo cupo di Cecilia era rivolto all’immondizia traboccante. Ma nessuno sembrò prendere in considerazione le sue parole e tantomeno il suo sguardo.
“Guardate qua!” questa volta le parole uscirono dalla sua bocca con un volume talmente alto da risultare imbarazzante.
“Avete sentito cos’ ha detto prima l’esperta? La carta va separata, non così assieme alla plastica, alla buccia di banana!” E credendo di dar più forza alla sua arringa, l’intrepida portavoce dell’impegno giovanile per l’ambiente andava sventolando con la mano alta una buccia di banana che, nel frattempo, disfacendosi, faceva cadere viscidi sfilacci sul pavimento.
La guardavano tutti stavolta. Ma come si guarda un fenomeno da baraccone.
“Che schifo!” non tardò la solita Matilde che s’era legata al dito la storia della luce.
“Maestra, che schifo, dille di metterla giù” aggiunse quel pappagallo della sua migliore amica.
“Cecilia, cosa fai? Mettila giù subito, con te nemmeno di spazzatura si può parlare perché anche quella va bene per farsi notare!”
Se ci fosse stata la sua buona Fata non avrebbe parlato così la maestra, non avrebbe detto quelle cose che avevano fatto ridere tutta la classe. Non era bello sentirsi derisi e tantomeno quando si era convinti di dire delle cose giuste, importanti e per il bene di tutti.
Finalmente suonò la campanella della ricreazione.
“Bene, è suonata” disse sollevata la maestra che non vedeva l’ora di cambiare aria.
“Chi? Cecilia?” non si lasciò sfuggire l’amico Silvio. La maestra non intervenne e decretò: “Siccome siete stati bravi in aula video, a parte naturalmente la storia stupida della luce, visto che è una bella giornata, ce ne resteremo un po’ in giardino, che ne dite?”
Boato di entusiasmo. “Piano, piano, preparatevi in silenzio adesso”
Mentre la classe andava a prendersi i cappotti, a Cecilia venne un gran mal di pancia per il quale sarebbe dovuta assolutamente restare piegata al suo posto, con le braccia serrate sulla pancia dolorante.
Se ne sarebbe restata tranquilla non c’era pericolo, nessuno avrebbe supplicato la maestra di starle vicino, come accadeva in questi casi quando al malore di qualcuno corrispondeva un codazzo più o meno nutrito di piccoli infermieri volontari. Lo sapeva già, eppure bruciava sempre.
Si mise sul suo banco, reclinando la testa sulle braccia, ad occhi chiusi come a farsi passare quel mal di pancia non del tutto immaginario.
Sentiva il vociare della classe che si allontanava e con esso anche i lievi crampi allo stomaco. Sarebbe restata in compagnia della sua Buona Fata.
Il volto di quella donna le stava sempre davanti, a lei avrebbe voluto parlare di quelle tante idee per salvare il Pianeta che le brulicavano per la testa e, nel buio accogliente che si era creata chiudendo gli occhi, queste idee andavano a far parte sempre più di quei viaggi fantastici che amava tanto.
L’idea più bella si fece avanti con evidenza impressionante, travolgendo tutte le altre. Aprì persino gli occhi sperando di veder passare la sua Buona Fata alla quale avrebbe raccontato tutto. Ma non passò nessuno, allora li richiuse perché così stava meglio. Quell’idea che le era venuta, poi, le parve la migliore compagnia del mondo.
Due bambine dell’altra quinta si affacciarono sulla porta dell’aula.
“Ha mal di pancia, non vi preoccupate ci do un’occhiata io, tornate in classe” disse il bidello, vedendo che continuavano a guardarla.
“Ma è da sola, perché nessuno le ha fatto compagnia?”
“Ma che impiccione che siete, volete andarvene?”
“Dai, possiamo entrare un attimo?”
“Mi dispiace, ma dovete tornare dalla vostra maestra”
“Ma, uffa, poverina, è da sola ”
“Secondo me, morite dalla voglia di curiosare per le aule voialtre, altro che compagnia. Tornate in classe o vi ci riporto io”
Cecilia aveva seguito ad occhi chiusi tutto il dialogo ed ora sapeva che quelle due bambine gentili, di cui conosceva solo la voce, si erano guadagnate l’opportunità straordinaria di accompagnarla in un viaggio attraverso il tempo, verso un futuro lontano, dove le sarebbe stato finalmente concesso di agire per il bene del suo Pianeta.




IN CLASSE

Il buio dei suoi occhi chiusi si stava popolando di forme e colori fluttuanti, ogni tanto le sembrava si accendesse qualche lucetta che durava pochi istanti, poi si spegneva come una pioggia di coriandoli luminosi. A volte era come vedere tante lucciole in un prato buio. Poi c’erano le girandole che, ruotando velocemente, sembravano voler spingere il suo sguardo, se di sguardo si poteva parlare visto che sempre di buio si trattava, verso un punto lontano in fondo a chissà dove nella sua mente.
Riconobbe le voci delle due bambine gentili che parlavano sommessamente.
“Adesso che siamo entrate?”
“Cosa facciamo adesso che siamo entrate?”
“Cecilia, vuoi risponderci?”

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