LA TENDA BLU
Da quanto tempo
se ne stava rannicchiata sotto le coperte? Dieci minuti, un’ora o forse più?
Pensava. Il
piccolo vano del camper in cui era ricavato
il suo lettino a castello stava sopra
quello della sua sorellina. Lo sentiva come un luogo molto accogliente, molto
suo. Quella tendina blu poi, in grado di allontanarla
da tutta la famiglia con un semplice gesto,
era semplicemente adorabile.
Carlotta, dieci
anni, un corpo snello, scattante, ancora
tutto da bambina e una testolina in
grado di viaggiare oltre la sua età.
I suoi lunghi
capelli castani le coprivano disordinatamente il volto mentre se ne stava
distesa ancora con gli occhi chiusi.
Prima della
fine della scuola andavano perfino ad attorcigliarsi al collo, ma non le
avevano mai dato fastidio.
Poi aveva
deciso di tagliarli e l’aveva fatto davvero,
e per la prima volta, un mese fa: era entrata dalla parrucchiera credendo di
uscirne tutta diversa, convinta che
avrebbe sorpreso tutti. Di fatto li aveva tagliati solo di una decina di centimetri
e nessuno se n’era accorto. Il papà, la
sera, l’aveva scoperto solo dandole il bacio della buona notte, ma non aveva un
gran spirito d’osservazione, niente da meravigliarsi.
Il peggio era stato
sicuramente in classe, il giorno dopo, quando il suo look tutto nuovo non era
stato notato proprio da nessuno. Ma è proprio così difficile cambiare? La prossima volta doveva essere più decisa,
la prossima volta dalla parrucchiera avrebbe dovuto indicare più alto, almeno sul collo. Queste mezze misure cominciavano
a darle sui nervi.
Tra un attimo
avrebbe cominciato a sentire lo sferragliare delle pentole, poi il rumore
dell’accendino. Se era fortunata la mamma l’avrebbe chiamata al massimo tra
dieci minuti.
Ma quella
mattina le sarebbero sembrati anche troppi, i suoi stessi pensieri cominciavano
a darle decisamente noia.
Le succedeva
sempre più spesso dall’inizio della vacanza, una settimana esatta quel giorno.
«Chissà perché
proprio in vacanza, accidenti!»
Pensiero antipatico numero uno.
Se le fossero
scese le lacrime poi, sarebbe stata una vera catastrofe.
«E io cosa dico alla mamma quando mi verrà a svegliare?» Pensiero antipatico numero due.
Cosa avrebbe
raccontato ai suoi genitori, come avrebbe spiegato quello stupido senso di
tristezza a loro che facevano di tutto per renderla
felice, che la riempivano di attenzioni, di coccole.
Possibile che
non fosse in grado di immaginare, di
pregustarsi una giornata di vacanza?
Non dovrebbe essere stato
tanto difficile, ogni giorno quella
casetta viaggiante l’aveva portata in località una più bella dell’altra. Prima
in montagna, dove avevano tutti e quattro giocato a nascondino dietro faggi imponenti, secolari, poi erano arrivati
alle spiagge, agli scogli dove si era tuffata dall’alto. Ricordava l’emozione di quel momento prima di buttarsi, l’acqua azzurra e
il fondo laggiù, la mamma e sua sorella col salvagente
che la guardavano dal basso e molta
altra gente a dire il vero. Se il papà l’aveva accompagnata fin lì, tanto pericoloso non poteva essere e in quel momento non aveva avuto incertezze.
Anche in un
Aquapark di quelli super l’aveva portata la sua casetta viaggiante. Quando ci
passavano davanti di ritorno da
scuola, i suoi compagni la guardavano curiosi e ci avevano sbirciato dentro una
volta…che bello, ma c’è proprio tutto, la cucina,
i letti, c’è anche la tele? In quel momento aveva avuto proprio la sensazione
di sentirsi invidiata. Perché lei
invidiava loro allora? Pensiero antipatico
numero tre. Le saltavano addosso da dove meno se l’aspettava, possibile che proprio in vacanza
fosse così difficile pensare a qualcosa di piacevole?
Chissà dove si
trovava esattamente, avevano viaggiato
di notte mentre dormiva e lei si sarebbe svegliata in una località a sorpresa. Magnifica, probabilmente, ma certo molto lontano da
casa, da scuola, dal parco dove si appendeva a testa in giù, dai suoi compagni
di scuola, dalla sua amica del cuore, dal giornalaio dove al ritorno da scuola
comprava le figurine.
Alberi? Case?
Vista sul mare? Sulle montagne? Cosa
si sarebbe trovata davanti se solo avesse abbassato
la tendina della finestra? Curiosità zero. Era troppo lontano da casa, troppo
da quello spazio di vita che apparteneva a lei, solo a lei.
Quel rifugio
dietro la tendina blu non le bastava, ma era l’unico che avesse a disposizione e quel giorno non aveva il coraggio
di lacerarne la preziosa intimità
con il consueto semplice gesto.
Dalla luce che
ormai era giunta a filtrare dentro il suo piccolissimo regno non doveva essere
molto presto. Erano proprio dei dormiglioni
quella mattina i suoi genitori,
forse erano stanchi dalla guidata notturna.
Strano allora
che nemmeno la sorellina non avesse iniziato a parlottare con uno stuolo di bambole e bambolette,
che erano anche sue veramente, con
quella sua vocina buffa che diventava
ancora più buffa quando la prestava ai suoi personaggi.
Con quella sua
vocina buffa era anche in grado di dire tranquillamente, come se stesse chiedendo
dei biscotti: «Ma quando torniamo a casa?» Non capiva
perché Martina, a tre anni e mezzo, ci riuscisse così bene e lei facesse tutta quella fatica a confessarlo perfino a sé stessa.
E’ proprio vero
che le cose vanno iniziate da piccoli,
lei in dieci anni non ricordava di essersi
mai sognata di dire una cosa simile. Con la vocetta buffa si può dire ciò che
si vuole, con la voce da ‘grande’ tutto diventa difficile, terribilmente difficile. Meglio stare zitti.
Qualcuno
iniziava a muoversi, era ora! Lo percepiva
dalle vibrazioni del camper, magari lassù,
sulla mansarda, la mamma dormigliona si preparava finalmente a scendere.
No, il
movimento partiva da sotto, dal letto di sua sorella.
Si era
svegliata e dal rumore di oggetti scartabellati era già in azione! Sentiva borbottare
infatti, ‘la vocina buffa’ si stava scaldando e le sue due piccole fatine Alli ed Elli, protagoniste di molte delle sue storie, stavano iniziando le loro avventure alle prese con chissà quali pericoli, streghe
in genere, che finivano immancabilmente giù dal burrone.
«Ma sì che ci
vanno, Elli, hanno detto loro che vogliono andarci, così ci vanno» Dal tono
della voce stava proprio facendo parlare le sue fatine, chissà chi voleva
andare via e dove poi. Sta a vedere
che adesso si sarebbe messa a spiare le storielle
di sua sorella, attività questa certo più piacevole
di ciò che poteva offrire a sé stessa in quel momento.
«Ma sei sicura
Alli e se poi non tornano?»
«Certo che
tornano! Domani tornano, vanno in talilandia e dopo tornano»
«Allora volano con l’aereo vero Elli? Eh Eh
non hanno mica le alette come noi vanno con l’aereo allora su su su…e poi giù e
poi su…»
Con ‘sto su e
con ‘sto giù Martina doveva spassarsela
un sacco, magari aveva preso la sua ciabatta, l’aveva già fatto, e faceva
salire e scendere qualcuna delle sue bambole usandola
come fosse un aereo. Le pareva di vederla.
«Martina, hai
preso la mia ciabatta vero?»
«Sì»
«Brava furba! Mettila giù che adesso scendo e
voglio le mie ciabatte, capito?»
«E come faccio
l’aereo?»
«Affari tuoi»
Compì il
fatidico gesto e la tendina si scostò. Si cominciava una nuova giornata di
vacanza.
Ripreso il
controllo della ciabatta, non senza qualche
rumoroso battibecco, Carlotta andò dritta verso la mansarda dove dormivano papà e mamma, salì sopra il sedile e
si fermò davanti ad un’altra tenda blu, quella dei suoi genitori stavolta.
Forse era meglio dare un’occhiata all’ora: se
fosse stato troppo presto? Se i suoi
genitori non si erano ancora svegliati,
nonostante lo schiamazzare di sua sorella,
una ragione doveva pur esserci.
Le undici?
Aveva letto bene…le undici? Salì nuovamente
sul sedile. Che con le tende bisognasse andare con molta molta cautela questo lo sapeva fin troppo bene, quindi,
ancora una volta si fermò.
Si fermò e andò in bagno: pausa di riflessione.
Intanto sua
sorella giocava e giocava, senza domandarsi
nulla naturalmente.
«Carlotta, mi
dai il latte?»
Carlotta mi dai
il latte non mamma mi dai il latte o papà mi dai il latte.
«Non ho capito
scusa, chi è che ti deve dare il latte?»
«Tu»
«Ma io non sono
capace, amore, quando si svegliano
te lo danno loro»
Martina scoppiò
in una piagnucolata straziante. Ma
cosa aveva mai detto di tanto orribile?
»Shhh che
svegli tutti, ma sai che sei proprio sciocca?»
«E io rimango
senza latte fino a domani?»
«Ma no… due
minuti, cinque»
Ma che discorsi
le andava a fare, tanto per lei probabilmente ‘tra due minuti’ aveva ancora il medesimo significato di ‘domani’,
voleva dire ‘aspettare’ ed era questo
che trovava
insopportabile.
«E come faccio
senza il mio latte fino a domani non
mangio niente allora? Muoio di fame?»
«Uh!
Addirittura! Per due minuti muore di fame!
Mamma senti questa rompi!» Finalmente
si sentiva legittimata a dare la sveglia ufficiale a quei dormiglioni dei suoi genitori, la situazione
era precipitata, non potevano ancora dormire.
Niente, nessuna
risposta né alcun bisbiglio. Nemmeno un sospiro e nemmeno una minima vibrazione del camper. Aveva l’impressione
che il respiro le si fosse bloccato.
«Sono andati in
talilandia»
In quel momento
delle storielle di sua sorella proprio
non sapeva che farsene, non pensava che a giocare l’incosciente, beata innocenza. Carlotta continuava a fissare
quella tenda blu che continuava imperterrita a restare immobile.
«Devo farmelo
da sola il latte?»
Ma quanto
rompeva.
«Se non stai
zitta ti bastono…» L’aveva detto con un tono spietato da stupirsi da sola e
come risultato aveva ottenuto un
urlo senza fine e una faccina sfigurata da farla sentire quasi in colpa.
Pur tra le
lacrime Martina non demordeva: «E sai una cosa? Domani glielo dico che sei
cattiva e dico anche che non mi hai
fatto il latte»
«Diglielo
adesso allora, vediamo se invece non ti sgridano»
«No che adesso
non mi sgridano non mi sgridano no
adesso domani invece sgridano te»
«E perché,
carina, non dovrebbero sgridarti adesso?»
«Che stupida
che sei sono in talilandia adesso e te ti sgridano domani quando tornano»
Stava
afferrando la tenda quando quella frase a cui non aveva dato nessun peso le risuonò
come una rivelazione.
Poi, stupendosi
di quella assurda esitazione, scostò finalmente la tenda.
«Visto che non ci sono per forza sono in talilandia te l’ho detto che sono lì e tu sei
anche cattiva perché non mi vuoi fare il latte però domani io glielo
dico e…»
Martina parlava parlava e Carlotta l’ascoltava come da distante finchè
non la sentì più: il letto della mansarda era vuoto davvero.
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